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L’usucapione? Ve lo spiega l’avvocato Sibilla

ApriliaL’usucapione è un modo di acquisto della proprietà c.d. a titolo originario, nel senso che esso si realizza, ope legis, a seguito del possesso continuato per un certo lasso di tempo (generalmente venti anni) e può essere “formalizzato” attraverso un giudizio che accerti l’intervenuto acquisto della proprietà; la sentenza accertativa della proprietà così acquisita è soggetta a trascrizione ai sensi dell’art. 2651 c.c..
La ratio dell’Istituto è quella di favorire, a fronte di un legittimo proprietario totalmente disinteressato del bene, colui che, pur non essendone proprietario, lo utilizza, lo cura, lo manutiene, certamente per un interesse individuale, ma di conseguenza anche nell’interesse della collettività.
L’usucapione, disciplinata dagli artt 1158 c.c. e ss, trova applicazione per la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.
Il presupposto è il possesso che – quale circostanza “di fatto” può essere provata anche con testimoni – deve essere prolungato per un certo tempo, deve essere continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico.
Tali requisiti si traducono con l’esercizio di un “potere di signoria” sul bene alla stregua del legittimo proprietario.
La particolarità dell’istituto ed il risultato a cui tende è chiaro che comporta a carico dell’usucapiente un difficile e gravoso onere probatorio.
Invero, l’interessato deve dare prova di un possesso, nel senso di utilizzo e godimento del bene, prolungato e non interrotto per lo spazio temporale richiesto dalla legge; un possesso “pacifico” cioè non contestato da alcuno e “pubblico” nel senso di palese, non occulto, “alla luce del giorno”.
A rendere più complicato l’ambizioso obiettivo dell’acquisizione della proprietà ricordiamo che è sufficiente che il legittimo proprietario rivendichi la sua qualità di proprietario notificando all’usucapiente una diffida, ovvero semplicemente “ricordando” al possessore il titolo in virtù del quale gli è concesso il godimento del bene (ad esempio un vecchio comodato, magari verbale) per cui quel possesso non è più né “pacifico”, né “continuo ed ininterrotto”, ovvero privo di quello spirito “uti dominus” indispensabili ai fini dell’acquisto a titolo originario della proprietà .
Ferma questa breve introduzione, è astrattamente possibile l’usucapione anche su parti comuni, in comunione o in condominio.
Nella fattispecie in esame, alle generali difficoltà proprie dell’Istituto come sopra riassunte, si aggiungono le particolarità del caso specifico, per cui non è sufficiente provare il semplice uso del bene come se si fosse il proprietario, perché qui il diritto di (com)proprietà già esiste in capo ai singoli partecipanti.
La Suprema Corte (Cass. 24.11.2020, n. 26691) ha indicato le condizioni sulla cui base è possibile usucapire una parte comune dell’edificio, tra comproprietari; ovvero che il comproprietario possessore mantenga un possesso continuativo e indisturbato del bene per almeno 20 anni ed allo stesso tempo impedisca concretamente, agli altri comproprietari, di farne parimenti uso.
Posto che l’art.1102 c.c., rubricato appunto “uso della cosa comune”, riconosce, in virtù dell’appartenenza al condominio, l’uso della cosa comune a tutti i partecipanti; al fine dell’usucapione, la Giurisprudenza ha rilevato che non è sufficiente che gli altri comproprietari si astengano dall’uso della cosa comune (Cass. ord. n. 24781/2017; Cass 9380/20), essendo necessaria l’esclusiva e totale detenzione del bene, che si pone in contrasto con il diritto degli altri condomini.
Deve trattarsi, in buona sostanza, di un dominio sulla cosa comune che sia esercitato in modo esclusivo ed incompatibile con il possesso degli altri.
Aprilia 30 ottobre 2023 Avv. Felice Sibilla

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